Particolarmente gradevoli sono gli itinerari che comprendono sia tratti costieri sia percorsi di montagna. Per simili escursioni, la Calabria offre svariate possibilità. Facendo base nella città di Crotone, il nostro tragitto si snoderà dapprima lungo la fascia litoranea alla scoperta dei ruderi archeologici di Capo Colonna e poi, rientrati nel capoluogo, ci spingeremo lungo i contrafforti della Sila, tra paesaggi montani di aspra bellezza e piccoli centri che ancora conservano l’impianto urbanistico barocco, spesso arricchito da reminiscenze medievali. Viaggeremo quindi lungo le rive del lago Ampollino e attraverso la Sila Piccola, per terminare con una visita al pittoresco borgo marinaro di Le Castella.
Crotone, il golfo e Capo Colonna
Crotone sorge al centro di un ampio golfo, delimitato a sud da Capo Colonna. La città fu fondata nel 709 a.C. da coloni Achei guidati da Miscello di Ripe e raggiunse ben presto una posizione di spicco fra le altre città della Magna Grecia. Nel 532 a.C. Pitagora di Samo vi stabilì la propria scuola filosofica, dove si insegnava che l’universo si fonda su leggi e rapporti matematici. Crotone può vantare numerosi personaggi illustri di quel periodo, tra cui Milone, un atleta che vinse per ben sette volte alle Olimpiadi, Democede, medico di fiducia di Dario I re di Persia, e Alcmeone, il medico che individuò nel cervello la sede dell’intelletto umano e della vita spirituale.
Visitare la città: il castello
La città assunse l’aspetto attuale nel corso del XVI secolo, quando il vicerè don Pedro Álvarez de Toledo decretò il rifacimento del castello e la costruzione di una possente cinta bastionata a difesa della città, affidata nel 1541 all’architetto Gian Giacomo dell’Acaya, il quale innalzò cinque bastioni. Possiamo iniziare la visita della città dal castello, parcheggiando la motocicletta nei pressi di piazza Molo Vecchio e percorrendo a piedi la Discesa Castello. Vi si accede dai bastioni di piazza Castello, attraversando il ponte di pietra che nel 1882 sostituì il ponte levatoio. La fortezza esisteva già nel 1239; a quell’epoca aveva pianta pentagonale ed era protetta da nove torri, cui se ne aggiunsero altre cinque al termine del XIV secolo, ma dal 1489 si resero necessari nuovi lavori per permetterle di resistere a un assedio condotto con artiglierie. In particolare, le cortine murarie furono ispessite, la pianta divenne quadrata e agli angoli si eressero le due torri circolari che ancora esistono: la torre Comandante e la torre Aiutante.
In concomitanza con la costruzione della cinta bastionata a protezione della città, anche il castello fu munito di due bastioni, che tuttora si ammirano: quello di san Giacomo e quello di santa Caterina. Con il passare del tempo, Crotone perse la propria importanza strategica e perciò il castello fu in parte adibito a usi civili: nel 1840 due ali furono trasformate in carcere, e dopo il 1890 vi fu ospitata la scuola elementare. Il castello riacquistò il proprio ruolo durante la Prima guerra mondiale, quando vi furono sistemate alcune batterie costiere, mentre durante la Seconda guerra mondiale ospitò le batterie antiaeree e una caserma. Al giorno d’oggi sopravvivono la torre Comandante (sul lato della Discesa Castello), che mantiene la scala a chiocciola originaria, e la torre Aiutante, affacciata sulla villa comunale.
Il lungomare e il centro storico
Terminata la visita al castello, percorriamo a piedi il piacevole e animato lungomare, da cui si ammira il profilo del golfo, e giriamo all’angolo con via Tellini. Sulla nostra destra si erge il bastione don Pedro, decorato con le insegne dell’imperatore Carlo V e, sotto, dello stesso don Pedro. Giunti in piazza Pitagora, entriamo nel centro storico e visitiamo il duomo, un edificio a tre navate di stile neoclassico. In fondo alla navata destra si apre la cappella della Madonna di Capo Colonna, che custodisce una tela di stile bizantino incollata su tavola lignea, di attribuzione incerta, e collocata originariamente nella piccola chiesa di Capo Colonna.
La tradizione popolare vuole che sia stata dipinta da san Luca in persona, ma più probabilmente si tratta di un dipinto del IX o del X secolo.
Proseguendo su corso Vittorio Emanuele, troviamo la chiesa dell’Immacolata, anche questa di sobrio stile neoclassico. A navata unica e decorata con fastosi stucchi di vari colori, custodisce un Crocifisso ligneo della prima metà del XVII secolo. Poco oltre sorge la chiesa di san Giuseppe, del XVI secolo, che presenta un elegante portale barocco. All’interno vi sono le cappelle gentilizie di alcune importanti famiglie crotonesi. Di fronte alla chiesa di san Giuseppe sorge palazzo Gallucci (ricostruito nel 1809 in severo stile neoclassico), che fa angolo con via Pelusio.
Percorrendola e girando a sinistra ci troviamo alla chiesa di santa Chiara, costruita nelle attuali forme nel 1774. Ha una facciata barocca con un rosone e due finestre laterali strombati, e un maestoso portale. Terminata la visita alla chiesa, ci si può inoltrare negli intricati vicoli del centro storico, nei quali spiccano numerosi palazzi nobiliari, oppure tornare alla chiesa di san Giuseppe e proseguire su via Risorgimento per visitare il Museo archeologico (chiuso il lunedì). Fra i tanti pezzi, una collezione di bronzi costituita da una barchetta risalente all’VIII secolo a.C., una gorgone, una sfinge e una sirena del VI secolo a.C.
Rotta verso Capo Colonna
In motocicletta ci dirigiamo alla volta di Capo Colonna, cui si giunge percorrendo tutto il lungomare e poi la litoranea (SP49). Possiamo lasciare la moto nel parcheggio del museo archeologico, dal quale iniziamo la visita. Nell’antichità il promontorio era denominato Lacinio e vi sorgeva un importante complesso di edifici religiosi, che attirava pellegrini dalle altre città della Magna Grecia. Il fulcro dell’area sacra era rappresentato dal tempio di Hera Lacinia, un edificio in stile dorico del V secolo a.C. che ospitava famose opere d’arte e un cospicuo tesoro. Ai nostri giorni solo una colonna svetta solitaria sullo sfondo del mare, ma secondo gli archeologi le colonne erano sei sui lati brevi e tredici o addirittura quindici sui lati lunghi. Nei suoi paraggi sono stati ritrovati i resti di numerosi altri edifici, tra cui un santuario di epoca arcaica e un quartiere romano, il cui elemento più prezioso è un mosaico pavimentale degli inizi del I secolo a.C.
Non lontano dal santuario sorgono alcuni casini di villeggiatura della seconda metà del XVIII secolo, oggi in condizioni di totale abbandono, nonché la torre di Nao, della fine del XVI secolo. Torri analoghe erano dislocate a intervalli regolari lungo le coste, con lo scopo di avvisare le guarnigioni delle fortezze maggiori in caso si avvistassero navi turche.
Lungo la Statale 107 verso Santa Severina
Ritornati a Crotone, attraversiamo tutta la città per imboccare la SS107, seguendo le indicazioni per Cosenza. A tratti osserviamo il Neto scorrere placido attraverso la sua ampia valle delimitata da colline. Queste si presentano amene dalla parte di Crotone, ma si fanno scoscese e ripide addentrandosi verso la Sila, sempre però ricoperte di boschetti.
Lasciamo la strada principale al bivio per Santa Severina, che appare alla nostra sinistra sulla cima di un colle. Si ritiene che sia stata fondata dagli Enotri, e in seguito occupata dai Greci e infine dai Romani. Il suo nome originario era Sibarene, da cui deriva quello attuale. Il borgo è noto anche perché nell’VIII secolo diede i natali a papa Zaccaria. Gli Arabi la occuparono nell’840 ma i Bizantini riuscirono a riprenderla nell’885. Sono poco conosciute le vicende della città durante il regno normanno, ma è attestato che nel 1496 fu concessa in feudo al condottiero del Regno di Napoli Andrea Carafa, che tuttavia fu costretto ad assediarla per prenderne possesso, in quanto inviso alla cittadinanza. Dopo i Carafa, che ampliarono il preesistente castello portandolo alle dimensioni attuali, la città appartenne agli Sculco di Crotone e nel 1691 fu acquistata all’asta dalla nobildonna napoletana Cecilia Carrara Grutther.
Il borgo medievale di Santa Severina
Al giorno d’oggi Santa Severina mantiene intatto l’aspetto di borgo medievale, cui si accede da un’unica strada. Possiamo parcheggiare la motocicletta sotto il castello, e iniziare proprio da qui la visita al paese. L’ingresso moderno si trova sul Campo, che è anche la piazza principale, sul cui lato opposto sorge la cattedrale. Si accede alla fortezza da un ponte ad acquedotto, probabilmente della metà del XVIII secolo. Alla nostra destra abbiamo il bastione dell’Ospedale e a sinistra il bastione dello Stendardo, con la biglietteria. All’interno delle mura si erge il mastio, un massiccio edificio quadrangolare con quattro torri rotonde agli angoli, nel quale ci si rifugiava per l’estrema difesa in caso il nemico avesse fatto breccia nelle mura perimetrali. Questo edificio è di sicuro la parte più antica della fortezza, presumibilmente risalente alla seconda metà del XIV secolo, ed è costruito attorno a un vasto cortile centrale, da cui si accede ai vari locali. Questi sono purtroppo spogli del mobilio d’epoca, ma si può ancora ammirare la porta della stanza della Segreteria, decorata con pannelli del XVIII secolo raffiguranti le maschere della commedia dell’arte e un’allegoria del trionfo dei Grutther, datata 1750.
Sul retro del mastio vi sono altri due bastioni: quello del Belvedere e quello all’Antica, congiunti dalla cortina della Meridiana, oltre la quale si apre un fossato scavalcato da un ponte che conduce alle estreme difese meridionali, cioè il bastione della Pagliera (con accanto le scuderie) e il cassaro, collocato a protezione dell’ex ingresso principale. I quartieri medievali meritano il tempo di una passeggiata, come pure è da vedere l’antica porta urbana, che si trova sul ciglio dell’abitato percorrendo un breve tratto a piedi.
Caccuri, terra di Romani e Longobardi
Meta successiva della nostra escursione è Caccuri, che si raggiunge dalla SS107. Si può agevolmente parcheggiare all’ingresso del paese. Il suo territorio fu abitato sin dal Neolitico, come dimostra il ritrovamento di un’ascia di basalto. Altre scoperte archeologiche, quali una necropoli romana e una tomba longobarda, documentano le fasi successive della storia di questo centro, che i Bizantini scelsero come loro roccaforte a protezione della valle del Neto. In epoca più recente, Caccuri fu sotto la signoria dei Ruffo, una cui esponente, Polissena Ruffo di Montalto, sposò Francesco Sforza, che allora combatteva in Calabria. Proprio a Caccuri, lo Sforza conobbe Cicco Simonetta, un giovane umanista e poliglotta, dal cui ingegno fu favorevolmente colpito. Divenuto duca di Milano nel 1450, Francesco Sforza nominò il Simonetta capo della propria Cancelleria Segreta. Sotto il governo spagnolo in Italia, Caccuri fu di volta in volta retta da altre famiglie feudali, fra le quali spiccano i Cavalcanti, che ampliarono il castello. Quest’ultimo assunse però le forme attuali per merito dei Barracco, che nel 1885 eressero tra l’altro la torre circolare.
A Caccuri furono girate molte scene del film Il brigante Musolino del 1950, con Amedeo Nazzari e Silvana Mangano. I monumenti principali della città sono rappresentati dalla chiesa di santa Maria delle Grazie (affiancata da un campanile a pianta quadrata con elementi architettonici del XV secolo), la chiesa di santa Maria del Soccorso, o della Riforma (ingentilita da un grande rosone) e il castello. Per quanto tutti e tre gli edifici siano di notevole interesse, il castello non è visitabile, appartenendo a privati, e le chiese non aprono durante l’inverno.
La scalata della Sila
Lasciando Caccuri, riprendiamo la SS107, che sale sui primi rilievi della Sila. Usciamo allo svincolo nord per San Giovanni in Fiore, giriamo quindi a destra, e passati sotto un cavalcavia giriamo a sinistra e subito di nuovo a sinistra, immettendoci così su una circonvallazione (via Virgilio), al cui termine svoltiamo a destra trovandoci poco dopo a un incrocio da cui può raggiungersi, anche a piedi, l’abbazia florense. Questa fu sede della comunità monastica fondata dall’abate Gioacchino, uno dei più grandi mistici del Medioevo, secondo cui il genere umano non andrebbe verso la senilità e la rassegnazione, ma al contrario verso la pienezza del vigore spirituale. La costruzione dell’abbazia iniziò nel 1215 a opera dell’abate Matteo, successore di Gioacchino, e fu portata a compimento nel 1234. All’origine, trovandosi in aperta campagna, era munita di una propria cinta muraria di cui ancora oggi rimane il portale d’ingresso, ad arco acuto, appunto su via Archi.
San Giovanni in Fiore e l’abbazia Florense
Il nucleo originario dell’attuale abitato fu costituito dalle case delle persone al servizio dell’abbazia, ma il vero sviluppo urbano cominciò nel 1530. La chiesa abbaziale si presenta come una severa costruzione romanica di conci di pietra, a navata unica e soffitto ligneo a capriate. L’unica deroga alla semplicità dello stile cistercense è il maestoso altare ligneo del 1740, che ospita una statua di san Giovanni Battista del 1536. A sinistra dell’abside c’è la cappella del Santissimo, a destra invece si apre la cappella dove sono esposte, in una teca di cristallo, le reliquie dell’abate Gioacchino da Fiore. Da qui si scende in una cripta dove è collocato un altare di pietra. In un’ala dell’abbazia è ospitato il Museo demologico della Sila (ingresso dal chiostro), che riunisce oggetti di uso quotidiano e strumenti di lavoro di contadini, pastori e artigiani della Sila, oltre a una nutrita collezione di fotografie d’epoca. Uscendo dalla chiesa, sul muro che fa angolo leggiamo una severa lapide in ricordo della strage del 2 agosto 1925, quando la forza pubblica aprì il fuoco sui contadini che dimostravano contro le nuove tasse, uccidendone cinque. Di particolare interesse è il retro dell’abside, che si ammira meglio dall’esterno. Nell’ordine inferiore si aprono tre monofore a sesto acuto, in quello superiore un rosone attorniato da tre rosoni più piccoli.
Dalla piazza si fa ingresso nel quartiere del Cortiglio, nel quale alcuni studiosi identificano il nucleo più antico del paese. Si tratta di un vero e proprio dedalo di vicoli e cortili, che occupano la parte sommitale di una modesta altura, seguendo il profilo del terreno.
Sulla Sila lungo SS179
La Sila è un vasto altipiano delimitato a nord dalla piana di Sibari, a sud dalla piana di Lamezia, a ovest dalle valli dei fiumi Crati e Savuto, e a ovest dalle colline del Marchesato di Crotone. Si suddivide in Sila Greca a nord, Sila Grande al centro (qui si innalzano le cime più alte) e Sila Piccola più a sud.
La strada descrive una lunga serie di stretti tornanti in salita, contornati di imponenti conifere, sino al bivio con la SS179 (dove dobbiamo girare a destra), che si snoda sinuosa lungo tutta la riva meridionale del lago Ampollino, offrendo allo sguardo lo spettacolo del cupo monte sulla sponda opposta, che con tutti i suoi boschi si specchia nelle acque. Questo è un invaso artificiale, realizzato fra il 1922 e il 1927 sbarrando il fiume Ampollino allo scopo di alimentare alcuni impianti idroelettrici.
La diga di Trepidò
La diga è in muratura con pietrame granitico e ha pianta arcuata. L’altezza del piano di coronamento sul punto più depresso delle fondazioni è di 38,60 metri. Stiamo adesso attraversando la Sila Piccola. Senza lasciare la SS179 attraversiamo il Villaggio Mancuso, dove si trovano alcuni negozi e alberghi. Affrontiamo altri tornanti, stavolta in discesa, riparati da abeti altissimi e affacciati su valli strette e incassate. Notevole il contrasto fra le cime in pieno sole e i boschi sottostanti, immersi nell’ombra.
Entriamo ad Albi, e all’incrocio seguiamo le indicazioni per Taverna, dove possiamo agevolmente parcheggiare la motocicletta nei parcheggi comunali in cima alla salita che parte da piazza Poerio. La città è nota soprattutto per aver dato i natali a Mattia Preti, uno dei più grandi pittori italiani del XVII secolo.
Discesa a Le Castella
Scendendo verso il mare, confluiamo sulla SS106 per raggiungere Le Castella, ultima meta di questa escursione, che deve il suo nome a un castello che sorge su un’isoletta. Si ritiene che una fortificazione esistesse in loco già alla fine del XIII secolo, benché la fortezza attuale sia il risultato della ricostruzione della fine del XVI secolo. Non ha invece subito interventi la torre circolare all’interno delle mura, che ha mantenuto la scala a chiocciola originaria, i beccatelli e gli archetti del coronamento.
Da qui, proseguendo sulla SS106, possiamo rientrare a Crotone.